Adempimenti & Obblighi iva - LA VERIFICA DELLE PARTITE IVA COMUNITARIE

L'art. 46, comma 2, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, prevede che nelle fatture relative alle cessioni intracomunitarie debba essere indicato il codice identificativo del cessionario comunitario, che spesso si sostanzia nella partita iva alla quale viene anteposta la sigla del paese a cui appartiene il cessionario. Nel caso in cui tale codice identificativo sia errato, ovvero risulti chiuso alla data di effettuazione dell'operazione, l'Amministrazione finanziaria disconosce il regime di non imponibilita' con conseguente recupero di imposta, interessi e sanzioni. Cio' vuol dire che bisognerebbe chiedere al competente ufficio, per ogni operazione, la conferma della validita' del codice identificativo del cliente comunicatio. Si chiede se risulti valida a tal fine l'interrogazione effettuata tramite il sito internet del Ministero delle Finanze, anche se dalla medesima non risulta la denominazione del cliente comunitario.

L'Art. 46, comma 2, del D.L. n. 331/1993 prevede che nelle fatture emesse in relazione a cessioni intracomunitarie, venga indicato, tra l'altro, anche il numero identificativo attribuito dallo Stato membro di destinazione dei beni al cessionario comunitario. Tale obbligo e' ribadito anche dall'art. 50 (del medesimo D.L.) il quale , al comma 1, stabilisce che le cessioni intracomunitarie "sono effettuate senza applicazione dell'imposta nei confronti dei cessionari e dei committenti che abbiano comunicato il numero di identificazione agli stessi attribuito dallo Stato membro di appartenenza" , il successivo comma 3 prevede, in maniera speculare, ed in capo ai soggetti che effettuano acquisti intracomunitari, l'obbligo di comunicazione del proprio numero di partiva iva ai cedenti comunitari. L'evidenziazione di tale numero identificativo, che in linea di massima si sostanzia nel numero di partita iva dell'impresa comunitaria, al quale viene anteposto il codice ISO dello stato membro all'interno del quale l'impresa e' situata ( per l'Italia "IT"), costituisce, nell'orientamento dell'Amministrazione finanziaria, condizione imprescindibile per l'applicazione del regime di non imponibilita' previsto per le cessioni intracomunitarie. La necessaria presenza, nelle fatture di vendita intracomunitarie, dei numeri identificativi dei cessionari comunitari nonche' la corretta compilazione degli elenchi riepilogativi delle cessioni (cosiddetti modelli INTRA) si ricollega alle modalita' di controllo dell'effettiva attuazione degli scambi intracomunitari, al fine di evitare che merci vendute "a nero" nel mercato interno, vengano dichiarate cedute a soggetti comunitari, con lo scopo ultimo di beneficiare del regime di non imponibilita'. Infatti , mentre per le esportazioni vere e proprie il controllo viene fatto, in linea di massima, tramite l'esame delle bollette doganali di esportazione, per le cessioni intracomunitarie tale forma di controllo non e' possibile. In tali ipotesi, infatti, dovrebbe essere effettuato un incrocio tra i dati relativi alle vendite intracomunitarie dichiarati dai soggetti sottoposti a controllo ed i dati relativi agli acquisti dichiarati dai cessionari comunitari; eventuali discordanze dovrebbero essere oggetto di approfondimento.
Quindi, pur avendo il Ministero delle finanze implicitamente ammesso, con circolare 23 febbraio 1994, n. 13, par. 15.1 lett I (in I Quattro Codici della Riforma Tributaria – BIG, cd-rom, Ipsoa) la possibilita' di provare la qualita' di soggetto passivo dell'operatore comunitario non in possesso di un numero identificativo, nel caso in cui una fattura relativa ad una vendita intracomunitaria non contenga il numero di identificazione del cessionario, ovvero che tale numero non sia valido o si riferisca ad altro soggetto, l'Amministrazione finanziaria disconosce il regime di non imponibilita' con conseguente recupero di imposta, interessi e sanzioni.
E' quindi opportuno che il cedente si accerti, prima di porre in essere delle vendite, che il numero identificativo fornito dal cliente comunitario sia valido e sia ad esso riconducibile.
A tale fine , l'art. 50, comma 2, del D.L. in esame, prevede che "agli effetti della disposizione del comma 1 l'ufficio, su richiesta degli esercenti imprese, arti e professioni, e secondo modalita' stabilite con decreto del Ministro delle finanze, conferma la validita' del numero di identificazione attribuito al cessionario o committente da altro Stato membro della Comunita' economica europea, nonche' i dati relativi alla ditta, denominazione o ragione sociale e, in mancanza, al nome e al cognome"; il D.M. del 28 gennaio 1993, emanato in attuazione di tale norma, prevede che i competenti uffici debbano rilasciare un'attestazione scritta.
Con C.M. 15 aprile 1999, n. 85 (in I quattro Codici,cit.) e' stato poi evidenziato che , oltre alla richiesta diretta all'Ufficio, e' possibile ottenere conferma della validita' del numero di identificazione del cessionario comunitario anche agli sportelli self-service, ai numeri automatizzati ed al sito internet del Ministero delle Finanze. L'ultima modalita', in particolare, associa alla velocita' di reperimento delle notizie, anche il vantaggio di avere un'attestazione cartacea ed e' il sistema self-service di gran lunga preferito dagli operatori economici.
Numerosi dubbi si sono pero' avuti circa la validita' probatoria delle interrogazioni effettuate con tale sistema, in quanto, mentre dalle notizie che scaturiscono dal sistema normativo dell'Anagrafe Tributaria risulta, oltre all'esistenza e vigenza della partita iva comunitaria, anche la denominazione del soggetto estero, dalle interrogazioni effettuate sul sito internet scaturisce solo l'esistenza del codice identificativo e non anche la denominazione del soggetto a cui il codice e' attribuito.
Potrebbero cosi' sorgere delle contestazioni in merito a cessioni effettuate nei confronti di soggetti comunitari, per i quali il cedente ha riscontrato la validita' del codice identificativo sul sito internet dell'Agenzia delle Entrate, ma la cui denominazione, in base alle informazioni risultanti dall'Anagrafe Tributaria, differisce da quella associata al codice medesimo.
In relazione a tale problematica, pur non essendoci state pronunce ufficiali a livello degli organi centrali dell'Agenzia delle Entrate, interessanti aperture si intravedono a livello regionale. Infatti, con nota 8 novembre 2001, n. 55689, la Direzione Regionale dell'Emilia Romagna dell'Agenzia delle Entrate ha chiarito che, in attesa che vengano adottate le necessarie variazioni, "l'attuale procedura di conferma via internet seppur limitata alla verifica del numero di identificazione del cliente, fornisce sufficiente affidamento ai fini della dimostrazione da parte dell'operatore nazionale, attraverso l'esibizione della stampa degli esiti dell'interrogazione, di aver soddisfattola previsione de cui all'art. 50, comma 2 del D.L. n. 331/1993. Ne consegue, quindi, che eventuali inesattezze nell'indicazione in fattura dei dati relativi alla denominazione o ragione sociale del cliente non possono comportare, come nel caso di utilizzo di codici identificativi cessati o inesistenti, il mancato riconoscimento del diritto al regime di non imponibilita'".

Fonti normative:
D.L. 30 agosto 1993, n.331, artt. 46 e 50
D.M. 28 gennaio 1993
C.M. 23 febbraio 1994, n. 13/E
C.M. 15 aprile 1999, n. 85/E